I limiti nazionali e comunitari ai contratti di fornitura
Pubblicato su: SIGMAGAZINE
N.35 NOVEMBRE-DICEMBRE 2022
Alcuni spunti per i negozianti che trattano su base contrattuale i loro approvvigionamenti e forniture, con particolare riferimento ai contratti c.d. di “franchising” (affiliazione commerciale), per manifestare alcuni aspetti e criticità che potrebbero risultare utili a vagliarne la legittimità e coerenza.
La libera negoziazione è libera fino a un certo punto, perché incontra i limiti prescritti dall’ordinamento nazionale e comunitario; l’imposizione non ragionata di contratti, con grave sbilanciamento nei diritti e negli obblighi a carico delle parti, spesso può produrre impreviste conseguenze, pregiudicando la validità ed efficacia di singole clausole, nell’ipotesi meno grave, ovvero dell’intero contratto. Il caso limite è costituito dall’ipotesi in cui i vincoli contrattuali imposti siano talmente penetranti, da configurare un vero e proprio rapporto di “dominanza” tra le parti, fino realizzare l’ “abuso di dipendenza economica” che la legge sulla subfornitura (L. 192/98) sanziona con la “nullità” del contratto, trasversalmente applicabile ai contratti di fornitura, in cui l’abuso consista “nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto”. Quando la dominanza contrattuale trascende in una vera e propria eterodirezione, si realizza la conseguenza più deflagrante, per effetto dell’estensione di responsabilità alla società dominante nei confronti di soci e creditori della società dominata, anche in caso di fallimento (ora liquidazione giudiziale) di quest’ultima (art. 2497 c.c., commi 3 e 4).
Avevo già trattato in questa rivista il tema delle reti di distribuzione, con un contributo focalizzato sulle scelte dei produttori, orientate, in particolare, ad ottenere un soddisfacente grado di controllo sulla circolazione dei propri prodotti (cfr. “Rete di distribuzione commerciale: quale scegliere e come tutelarsi”, in Sigmagazine #23 novembre-dicembre 2020).
Già in quella sede si faceva cenno alla necessità di rispettare i vincoli posti in tema di concorrenza dall’ordinamento comunitario, il cui Trattato, all’art. 101, pone il generale principio del divieto di intese che abbiano per oggetto, o per l’effetto, di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza.
Il principio gode di esenzioni disciplinate in appositi regolamenti comunitari, ed in tema di “intese verticali” il Regolamento UE 330/2010 è stato di recente sostituito dal nuovo Regolamento UE 2022/70 (c.d. VBER) il quale, per l’appunto, dichiara l’art. 101, comma 1 del Trattato inapplicabile agli accordi verticali, definendo il perimetro di legittimità di tale esenzione.
Senza pretese di esaustività, e volendo accuratamente evitare di trattare con superficialità una materia così complessa che meriterebbe ben più ampia trattazione, ciò che preme sottolineare è che vi sono determinate clausole contrattuali c.d. “hardcore restrictions”, particolarmente mal viste dal Legislatore Comunitario, in quanto dotate di un penetrante grado di lesività del gioco della concorrenza. Dalla sentenza della Corte di Giustizia “Expedia” C-226/1”, e tenuto conto di quanto espresso dalla Commissione nella Comunicazione “de minimis” del 2014”, non è detto che, il fatto che l’intesa (accordo) interessi una quota trascurabile del mercato di riferimento (come nel caso di un contratto di fornitura imposto al dettagliante), escluda il divieto, in presenza di clausole particolarmente restrittive (“hardcore restrictions”).
Tra queste la “resale price maintenance” (RPM), ovvero la fissazione imposta dei prezzi minimi e massimi di rivendita, esclude l’esenzione dell’accordo dal divieto di cui all’art. 101, se è vero che l’art. 4 Reg. 330/2010, ora art. 4 Reg. 2022/70, prevede che “L’esenzione di cui all’articolo 2 non si applica agli accordi verticali che, direttamente o indirettamente, isolatamente o congiuntamente con altri fattori controllati dalle parti, hanno per oggetto quanto segue: a) la restrizione della facoltà dell’acquirente di determinare il proprio prezzo di vendita, fatta salva la possibilità per il fornitore di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita, a condizione che questi non equivalgano ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto delle pressioni esercitate o degli incentivi offerti da una delle parti”.
Pertanto, eventuali pattuizioni riguardanti la restrizione della facoltà del dettagliante di determinare i prezzi di rivendita vanno guardate con particolare attenzione, avendo cura di muoversi entro le maglie del Regolamento VBER e, più in particolare, di quanto fissato nelle indicazioni più ampie fornite nelle relative “Linee guida sulle restrizioni verticali 30.06.2022”.
Dalla stessa fonte deriva inoltre la limitazione ai patti di non concorrenza post-contrattuale, vale a dire “un obbligo diretto o indiretto che imponga all’acquirente, una volta giunto a scadenza l’accordo, di non produrre, acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi” (art. 5, comma 1 lett. b, reg. 2022/70), che può avere durata massima di un anno dalla scadenza dell’accordo, ma solo se rispetta tutti i requisiti fissati dall’art. 5, comma 3 Reg, tra cui assume particolare importanza, il fatto che il vincolo sia indispensabile per proteggere il know-how trasferito dal fornitore all’acquirente, in costanza di contratto.
Qualora il rapporto di fornitura presenti i requisiti di cui all’art. 1, L.129/2004, troveranno applicazione gli ulteriori limiti posti dalla normativa sul Franchising, tradotta in “Affiliazione Commerciale” dal Legislatore.
La Legge pone svariati limiti all’autonomia contrattuale delle parti, con previsione di obblighi di forma scritta (art. 3.1), di durata minima (3.2), informativi (contrattuali e precontrattuali, art. 4 e art. 6) e di contenuto (art. 3.3), al rispetto dei quali sarà vagliata la validità ed efficacia del contratto e/o delle singole clausole.
In particolare, il know-how, ovvero il “patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate” trasferito dall’affiliante all’affiliato, ove previsto, dovrà essere “segreto, sostanziale ed individuato”; segreto significa “che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile”; sostanziale significa “che il know how comprende conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei beni o servizi contrattuali”; individuato significa “che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità” (art. 1, comma 3, L. n. 129 del 2004)” Cfr. Trib. Bergamo, sez. IV, 18/07/2019).
La Giurisprudenza di merito, talora, è piuttosto rigorosa nell’accertare la sussistenza del requisito, come accaduto ove si è ritenuto che per “la genericità delle espressioni relative al c.d. manuale di vendita e la riconducibilità delle stesse ad un patrimonio di conoscenze diffuso non solo tra gli operatori del settore; non è rispettata la previsione legale secondo cui, a pena di nullità, il contratto deve espressamente indicare la specifica del know-how fornito dall’affiliante (…) che deve avere i caratteri di segretezza, sostanzialità e individuabilità prescritti dall’art. 1, comma 3” (Cfr. Trib. Bologna, sez. II, 08/01/2020).
Se secondo un orientamento della Suprema Corte il trasferimento di know-how è ritenuto necessario soltanto allorquando previsto contrattualmente, allora è requisito indefettibile del contratto di affiliazione “la formula commerciale sperimentata” che l’affiliante mette a disposizione dell’affiliante, ovvero “l’insieme, il quale può essere variamente composto, di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale”.
In definitiva si ponga attenzione, in sede di negoziazione, ai limiti all’autonomia posti dall’ordinamento, poiché “erràntis nulla volùntas est” (la volontà di chi sbaglia è nulla).
Avvocato Iacopo Annese