Criteri di comparazione nel giudizio di conflitto tra marchi nel settore delle e-cig e relative cautele

PUBBLICATO SU SIGMAGAZINE

N.30 GENNAIO-FEBBRAIO 2022

L’eventuale conflitto tra loghi e brand ruota intorno all’accertamento del rischio di confusione tra loro, in chiave di comparazione, attraverso un giudizio di sintesi che stabilisca la soglia di confondibilità percettibile alla platea dei destinatari.
Sigarette elettroniche

Procedere alla registrazione del proprio marchio è una scelta che va attentamente ponderata considerando gli ulteriori fattori e conseguenze che, accanto al prezioso meccanismo di protezione installato dall’attivazione della privativa, discendono da tale circostanza.

Sovente si procede nell’erronea convinzione che il previo interpello dell’organismo preposto (sia esso nazionale, comunitario o internazionale) – sotto forma delle note “ricerche di anteriorità” – costituisca garanzia del buon fine della domanda, senza tener conto del fatto che la domanda di registrazione espone il richiedente a possibili opposizioni, a prescindere dagli elementi positivi tratti, appunto, dalla ricerca di anteriorità previamente effettuata.

A tal proposito, a dispetto del fatto che il settore delle e-cig e vaporizzatori personali possa legittimamente considerarsi distinto dal mercato del fumo analogico e del tabacco, il rischio confusorio non può preliminarmente escludersi in ragione della differenza merceologica caratterizzante, per l’appunto, i mercati di riferimento.

In linea di principio, il titolare di una attività volta alla vendita di vaporizzatori e liquidi da inalazione, in quanto prodotti/strumenti alternativi e di riduzione dal danno da fumo analogico, avrebbe tutto l’interesse a differenziare il proprio esercizio dai prodotti del fumo con cui si pone, per l’appunto, in alternativa. Infatti, il cuore del messaggio che i negozi di e-cig veicolano alla generalità degli utenti, è proprio quella di proporre uno strumento distinto e alternativo ai prodotti da fumo, al fine di ridurre drasticamente i danni alla salute cagionati da questi ultimi.

La giurisprudenza sui marchi

Anche muovendo dalla suddetta identità della platea di riferimento, la Giurisprudenza sui marchi, ritiene che “atomizzatori per sigarette elettroniche, aromi per l’uso diversi dagli olii essenziali, cartomizzatori, catrame di tabacco e supporti” sono considerati legati a rapporto di concorrenzialità con “tabacco e prodotti e base di tabacco”, e comunque sarebbero riconducibili ad “articoli per fumatori”, come affermato nella recentissima decisione UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) 29/11/2021.

Con la stessa decisione si rileva che pure le “batterie per sigarette elettroniche, caricabatterie, caricatori usb, custodie di carica portatili e vaporizzatori, firmware e software, ricariche”, in quanto “componenti o parti delle sigarette elettroniche” risultano prodotti in concorrenza coi prodotti del tabacco e comunque articoli per fumatori; anche con riferimento ai “servizi di vendita al dettaglio e online di sigarette elettroniche, liquidi e accessori per sigarette elettroniche” il mercato dei tabacchi è considerato rilevante, risultando detti servizi complementari e comunque rivolti al medesimo pubblico.

In definitiva, tutta la filiera e-cig, all’atto della presentazione di domanda di marchio, è costretta a fare i conti, in termini di ammissibilità del segno distintivo che si intende registrare, con il vasto settore di tabacchi e sigarette.

Tutto ciò premesso, il presente contributo, ancorché rivolto al mondo dei negozianti di e-cig, intende fornire elementi pratici, comunque utili ed in buona parte esportabili a produttori, dealers e, in generale, agli operatori della filiera delle e-cig.

Il giudizio volto a determinare l’eventuale conflitto tra marchi ruota intorno all’accertamento del rischio di confusione tra essi, in chiave di comparazione, attraverso un giudizio di sintesi che stabilisca la soglia di confondibilità percettibile dalla platea dei destinatari. Infatti, “l’esame del giudice di merito va compiuto non tanto in via analitica attraverso una particolareggiata disamina ed una separata valutazione di ogni singolo elemento, quanto soprattutto in via unitaria e sintetica, mediante un apprezzamento che tenga conto di tutte le caratteristiche salienti, compresi gli effetti visivi (o grafici) e acustici (o fonetici) delle espressioni usate, in relazione al grado di percezione delle persone alle quali il prodotto è destinato” (Così, Cass. Civ. 13 aprile 1989 n. 1779).

Il giudizio avviene preliminarmente tramite l’analisi dei mercati di riferimento che attesti la concorrenzialità, affinità e/o complementarietà tra i prodotti/servizi (vedi sopra le considerazioni in termini di concorrenzialità al mercato dei tabacchi).

La comparazione tra i segni viene poi, effettuata, sulla base di una analisi sintetica dal punto di vista fonetico, visivo e concettuale.

Segni a confronto: i c.d “marchi d’insieme” 

Assume ovviamente rilevanza, in tal senso, la tipologia dei segni a confronti, vale a dire si si tratti di marchi denominativi o figurativi, ovvero se si tratti di c.d. “marchio di insieme” ove questi  si fondono per andare a formare il marchio composto da parole di uso comune, “derivando il valore distintivo, più o meno accentuato, soltanto dalla lorocombinazione o, appunto, dal loro insieme” (Cass., Sez. I, 25 gennaio 2016, n. 1275).

Nel confronto fonetico e visivo, risulta cruciale la valutazione del carattere dominante dei marchi, determinato principalmente dalla sua posizione, grandezza, e dal colore, in rapporto agli altri componenti, “incidendo sull’impatto visivo-fonetico del segno, suscettibile di imporsi alla percezione del consumatore e restare nella sua memoria” (Decisione UIBM, n. 33/2012), ad esempio tramite l’individuazione di  elementi che si possano considerare distintivi e/o prevalenti, nel senso di

visivamente più appariscenti rispetto ad altri. Sul punto, occorre tener presente che, per principio ormai consolidato nell’ordinamento comunitario, la prima parte dei segni resta più facilmente impressa nel ricordo del consumatore.

L’analisi concettuale, infine, attiene al valore semantico del marchio, vale a dire, per usare le parole dell’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), “ciò che esso significa, ciò che evoca o, qualora si tratti di un’immagine o di una forma, ciò che rappresenta”.

In tal senso, il marchio risulterà tanto più forte, quanto più sarà concettualmente lontano dai prodotti contraddistinti, accentuandone, in tal modo, l’identità individualizzante. Di contro, il marchio debole, è concettualmente legato al prodotto – ad esempio tramite l’utilizzo di parole comuni ovvero descrittive di sue qualità o caratteristiche – e sarà sufficiente ad escluderne la confondibilità e/o l’apposizione di lievi modifiche od aggiunte (cfr. Trib. Torino, n. 3465 del 5 ottobre 2020).

Esemplificazione della decisione fornita dal tribunale di Torino

Nell’interessante decisione già sopra citata UIBM 29/11/2021, nella comparazione tra una marca di sigarette ed un negozio fisico di sigarette elettroniche, il termine “wild”, comune ai due marchi, è stato ritenuto quale parola di basic english che “nel suo significato di selvaggio sarà percepito come descrittivo delle qualità del prodotto offerto”, e quindi debolmente distintivo.

La stessa decisione pone un significativo principio in merito all’ulteriore e trasversale criterio che permea il giudizio di confronto tra marchi, cioè il livello della soglia di attenzione del consumatore di riferimento.

Infatti, se è vero che “la possibilità di confusione fra i prodotti delle imprese concorrenti va apprezzata dal punto di vista dei consumatori dei prodotti di media diligenza e capacità, ma sempre tenendo conto dello specifico tipo di clientela cui il prodotto è destinato e considerando le normali modalità del suo approccio al tipo di prodotto cui si riferisce” (cfr. tra le tante Cass. 21 settembre 2004, n. 18920), allora un elevato grado di attenzione del consumatore comporta un abbassamento del rischio di confondibilità, risultando per converso evidente che il consumatore meno attento ed avveduto è più probabile che possa cadere in confusione (cfr. ex plurimis Cass. Civ., sez. I, 27 maggio 2016, n. 11031).

In occasione della anzidetta decisione, la Divisione giudicante ha avuto modo di osservare che fumo e tabacchi costituiscano un segmento (comprensivo della filiera e-cig) in cui i relativi prodotti, ancorché destinati ad un consumo di massa, sono oggetto di particolare attenzione e selezione da parte dei fumatori, i quali, eserciteranno un particolare livello di attenzione nella scelta del prodotto, con conseguente diminuzione del rischio di confondibilità.

Avvocato Iacopo Annese